Consumatori di tutto il mondo unitevi!

🧑🏼‍💻 I.Carrara                🗄️ Libri               🗓️ 08 Febbraio 2024

La frase evoca immediatamente il celebre incipit del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx, ma il contesto in cui si inserisce oggi è radicalmente differente. Nel tumultuoso scenario del XXI secolo, caratterizzato da una società profondamente immersa nella logica post-capitalista, assistiamo a un riposizionamento delle figure centrali che compongono il tessuto sociale. Non è più il cittadino a occupare il cuore pulsante della nostra comunità, ormai questa posizione è stata usurpata dal consumatore, una figura che, guidata da un’insaziabile sete di possesso, consuma incessantemente quanto prodotto dall’industria senza mai raggiungere una vera soddisfazione.

 

Questa trasformazione non è solo un fenomeno culturale, ma si riflette anche nelle strutture legislative e politiche. Le leggi vengono promulgate, i programmi politici formulati e gli accordi parlamentari raggiunti con un obiettivo principale in mente: la protezione e la promozione dei diritti del consumatore. In questo nuovo ordine mondiale, il consumatore diventa l’epicentro attorno al quale ruotano decisioni economiche e politiche, spesso a discapito della dimensione collettiva e della responsabilità sociale.

 

In un’era in cui il capitalismo sembra regnare in modo sovrano e incontrastato, è troppo facile cadere nell’errore di dimenticare che esiste una forza ancora più potente e determinante: la legge del consumatore. Questa legge non scritta sottolinea un principio fondamentale: quando i consumatori si uniscono in un fronte comune, acquisiscono un’influenza colossale, capace di orientare il capitalismo verso orizzonti differenti. 

 

L’aggregazione di consumatori rappresenta, dunque, una leva potente nel determinare le future dinamiche capitalistiche. Mentre l’influenza del singolo può sembrare trascurabile, un’azione collettiva e coordinata ha il potenziale per innescare cambiamenti significativi. Questa dinamica collettiva sottolinea l’importanza critica della solidarietà tra consumatori e l’esercizio del loro potere aggregato per promuovere trasformazioni positive all’interno del sistema, indirizzando l’economia verso pratiche più etiche e sostenibili(come per esempio accelerare la transizione ecologica). Ma tale processo funziona davvero nel mondo post capitalista attuale?

 

L’idea e quindi di esercitare un “voto col portafoglio”, rappresenta una potente manifestazione del boicottaggio aziendale, concetto descritto dal professor Leonardo Becchetti, docente di economia politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”. La figura del consumatore si trasforma da semplice ricevente passivo delle dinamiche di mercato a protagonista attivo e consapevole delle economie locali e globali.  Attraverso queste scelte, consumatori e risparmiatori esprimono le loro preferenze, non solo economiche ma anche morali, premiando le aziende e gli enti che dimostrano un impegno verso la sostenibilità, l’equità sociale, e la responsabilità ambientale. In questo modo, essi valorizzano e danno credito a determinati soggetti economici rispetto ad altri, influenzando il mercato in maniera concreta e tangibile.

 

Il dibattito sul peso reale del boicottaggio delle aziende in un contesto economico profondamente globalizzato solleva questioni complesse e sfaccettate. Al cuore di questa discussione giace l’idea che, nonostante l’apparente marginalità del consumatore nel vasto oceano del mercato globale, una massa critica di individui uniti in un’azione collettiva possa effettivamente influenzare le politiche e le pratiche aziendali. Tuttavia, nella realtà raggiungere tale punto critico, capace di indurre una significativa transizione nelle dinamiche di profitto di un’azienda con un fatturato paragonabile a quello di intere nazioni, si presenta come un obiettivo quantomeno utopistico.

 

Il mercato, dominato dalla concorrenza tra produttori e, nel peggiore dei casi, dai monopoli, sembra offrire agli attori economici un ruolo decisamente più rilevante rispetto alla semplice interazione tra domanda e offerta. In questo scenario, il ruolo dei consumatori appare secondario, relegato a una partecipazione marginale nelle dinamiche economiche. Un recente studio di Eleonora Broccardo [1] getta luce sull’efficacia limitata delle azioni di boicottaggio in un mondo altamente globalizzato.

In realtà le azioni di boicottaggio messe in atto dai consumatori e dagli azionisti non sono molto efficaci. Questo avviene perché il boicottaggio e il disinvestimento agiscono sui prezzi delle merci o delle azioni. La riduzione dei prezzi innesca un meccanismo che stimola la domanda di consumatori e azionisti che si sentono meno toccati dal comportamento dell’azienda. Quindi, di fatto, l’intervento di questi azionisti con minori scrupoli agisce come contrappeso all’azione di azionisti/consumatori socialmente più responsabili. […] Un risultato decisamente più efficiente si può invece ottenere se gli azionisti esprimono le proprie preferenze attraverso un voto nell’assemblea. In particolare, nello studio osserviamo il ruolo fondamentale che hanno tanti piccoli azionisti che sostengono le politiche green e socialmente responsabili di un’azienda. Il loro apporto fa davvero la differenza. Per far sì che un’azienda inquinante investa in una tecnologia più costosa che le permetta di inquinare meno, il decisore più importante è l’azionista ben diversificato, quello con meno soldi investiti nell’azienda. Con la sua piccola quota sostiene una parte minima del costo, ma con il suo voto può realizzare un beneficio generale importante

Secondo Broccardo quindi, il boicottaggio incide principalmente sui prezzi delle merci o delle azioni, attivando un meccanismo che stimola la domanda da parte di quei consumatori e azionisti meno sensibili alle pratiche etiche dell’azienda. Questo fenomeno tende a neutralizzare l’effetto delle azioni intraprese da azionisti e consumatori maggiormente responsabili, suggerendo una limitata efficacia del boicottaggio come strumento di cambiamento.

Nonostante ciò, lo studio evidenzia un approccio alternativo e potenzialmente più efficace: l’espressione delle preferenze degli azionisti attraverso il voto in assemblea. In particolare, viene sottolineato il ruolo cruciale dei piccoli azionisti che supportano politiche aziendali sostenibili e responsabili.

 

Numerose situazioni evidenziano come il boicottaggio di aziende che non aderiscono a standard etici elevati spesso non riesca a produrre un impatto significativo sul loro fatturato. Un esempio emblematico di questa dinamica è rappresentato dalle aziende del settore del Fast Fashion, le quali, nonostante il notevole impatto ambientale e sociale delle loro operazioni, continuano a registrare una crescita esponenziale. Ad esempio il valore lordo della merce di Temu è cresciuto da 3 a 192 milioni di dollari nel periodo settembre-gennaio [2]. Nel contesto del consumo consapevole, coloro che optano per il “voto col portafoglio”, esprimendo così una preferenza per prodotti e servizi che incarnano valori etici, si trovano di fronte alla necessità di accettare un certo livello di spesa aggiuntiva. Infatti i prodotti a basso costo spesso celano una realtà più complessa, caratterizzata da costi nascosti che non vengono immediatamente percepiti dal consumatore. Questi costi occulti sono in gran parte scaricati sull’ambiente e sulle comunità dei paesi in via di sviluppo, dove le pratiche di produzione possono avere impatti devastanti. La sfida principale nel tentare di individuare e quantificare questi costi risiede nella loro natura elusiva. Tracciare l’impatto ambientale e sociale specifico di ogni singolo prodotto si rivela spesso un compito arduo, data la complessità delle catene di fornitura globali e la mancanza di trasparenza nelle pratiche aziendali[3, 4]. Questa situazione di opacità e di limitato controllo rende difficile per i consumatori fare scelte informate, contribuendo a perpetuare un ciclo in cui i danni ambientali e le disuguaglianze sociali vengono ignorati o sottovalutati.


L’ideale di un consumo etico e responsabile, pur essendo ampiamente condiviso e valorizzato, si scontra spesso con la dura realtà economica che la classe media e le fasce più povere della società affrontano quotidianamente. La diminuzione del potere di acquisto, l’inflazione in costante crescita e la stagnazione dei salari sono fattori che costringono molti consumatori a privilegiare il criterio del prezzo minore rispetto ad altre considerazioni. In conclusione, mentre l’aspirazione a un modello di consumo più etico e responsabile rappresenta un obiettivo nobile e indispensabile per affrontare le sfide ambientali e sociali del nostro tempo, è fondamentale riconoscere e affrontare le barriere economiche che limitano la capacità di molti di aderire a questi principi.


Bibliografia:


[1] Broccardo, Eleonora, Oliver Hart, and Luigi Zingales. “Exit versus voice.” Journal of Political Economy 130.12 (2022): 3101-3145.

[2]https://forbes.it/2023/03/15/temu-shein-rivale-piattaforma-fast-fashion/

[3] Escrig-Olmedo, Elena, et al. “Rating the raters: Evaluating how ESG rating agencies integrate sustainability principles.” Sustainability 11.3 (2019): 915.

[4]https://www.forbes.com/sites/bhaktimirchandani/2023/07/05/the-conventional-wisdom-on-esg-is-wrong–now-what/?sh=aec40b753298

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