🧑🏼💻 I.Carrara 🗄️ Liberalismo 🗓️ 21 Febbraio 2024
Il mondo contemporaneo è disseminato di insolite enclave, ovvero territori anomali situati all’interno delle nazioni che seguono regole proprie. Più di 5.400 di queste zone si distribuiscono sul globo [1], manifestandosi in un’ampia varietà: le stime indicano circa 82 tipologie diverse [2]. Queste aree, le cui dimensioni possono variare da quelle di un singolo magazzino fino a estendersi su interi distretti urbani, si caratterizzano per legislazioni distinte e, spesso, per una marcata assenza di controllo democratico.
Queste peculiarità hanno significative ripercussioni sulla geopolitica globale. L’esistenza di tali zone offre al capitale la possibilità di trasferirsi in aree con tassazioni vantaggiose, costringendo le economie di altri paesi ad adeguarsi a queste condizioni anomale per evitare la fuga dei cosiddetti “miliardari dalle uova d’oro”. Grazie a queste enclave, gli ultra-capitalisti hanno l’opportunità di eludere i vincoli imposti dai sistemi democratici in modo completamente legale, sfidando così le tradizionali regolamentazioni statali.
I principali sostenitori di questa configurazione territoriale sono gli assertori del liberalismo economico, i quali percepiscono queste zone come laboratori ideali per testare una forma di capitalismo estremo, liberata da ogni forma di intervento e controllo governativo. Questo concetto di zona speciale trae notevole ispirazione dall’esempio di Hong Kong, che ha funto da modello teorico e pratico per l’implementazione di politiche economiche fortemente deregolamentate.
Questo concetto ha trovato terreno fertile nel Regno Unito sotto la guida di Margaret Thatcher, che ha introdotto nel cuore dell’Inghilterra un’area soprannominata “il Vaticano di Londra” [3]. La deregolamentazione dei servizi finanziari, avvenuta nel 1986, ha dato vita a Canary Wharf, una zona finanziaria eretta lungo le rive del Tamigi. L’obiettivo era quello di trasformare specifiche parti di Londra in aree esenti da tassazioni e regolamentazioni convenzionali. Questa visione, tuttavia, non si limitava a una mera esenzione fiscale; includeva anche incentivi e sovvenzioni per attrarre investitori. Idealmente tali zone servivano a ricreare Hong Kong nel centro della capitale britannica, con aree che di fatto sarebbero uscite dalla regolamentazione della Comunità Economica Europea (CEE), promuovendo un ambiente di affari fortemente deregolamentato.
Le zone speciali rappresentavano quindi un netto distacco dall’idea di stato sociale che aveva prevalso nel dopoguerra, favorendo invece l’espansione di un capitalismo senza freni e privo di regolamentazioni. L’unico ente a opporsi a queste nuove politiche fu il governo locale di Londra, il Greater London Council, che tuttavia venne smantellato dal partito conservatore guidato da Margaret Thatcher. Questo atto segnò di fatto la rimozione dell’ultima istanza di opposizione alla nuova direzione intrapresa dalla città, cementando la trasformazione verso un modello economico radicalmente liberista.
Riflettendo sull’impatto attuale di queste zone a Londra, emerge un quadro significativo dalle ricerche effettuate. Uno studio del 2012 ha rivelato che “l’85% di tutte le proprietà residenziali di lusso […] era stato acquistato da investitori internazionali” [4]. Questo fenomeno ha visto miliardari stranieri investire massicciamente in immobili di prestigio, trasformandoli in nuovi beni rifugio. Sorprendentemente, molti di questi immobili, situati in aree esenti da tasse e beneficiari di sovvenzioni statali, venivano venduti ancora prima della loro costruzione, spesso tramite fiere immobiliari in Cina e Hong Kong, evidenziando una chiara internazionalizzazione del mercato immobiliare di lusso londinese e un distacco crescente dalla comunità locale.
Queste aree stanno inoltre diventando sempre più assimilabili a vere e proprie fortezze, circondate da sistemi di sicurezza come controlli di accesso, telecamere e presidi di polizia, dove i principi democratici tendono a sfumare. In questi contesti, diritti fondamentali come la libertà di associazione e di espressione sono spesso limitati, delineando un panorama urbano in cui la democrazia sembra cedere il passo di fronte a logiche di esclusione e sorveglianza.
Il paradosso della città contemporanea è che la presenza di super-ricchi viene vista come un indicatore di prosperità. Tuttavia, l’effetto che ne risulta è paragonabile a quello di un’eruzione vulcanica: il magma incandescente emerge dal cratere e si diffonde, spingendo gli abitanti originari a ritirarsi sempre più lontano. Analogamente, l’attrazione esercitata dalle sovvenzioni statali attira i ricchi nei centri urbani, facendo lievitare i prezzi degli immobili e costringendo la classe media e i meno abbienti verso le periferie. Di conseguenza, gli unici a trarre vantaggio dalle zone deregolamentate sono gli individui benestanti e i costruttori orientati al profitto, a spese dei contribuenti.
Bibliografia:
[1] Il capitalismo della frammentazione, Quinn Slobodian.
[2] Special economic zones. Methodological Issue and Definition, F. Boat.
[3] Architecture and Crisis, Kaika
[4] London and New York as a safe deposit box for the transnational wealth elite, R. Fernandez et al.
[5] Protest. No banners on my land, J. Rowbottom