Odio gli Indifferenti
🧑🏼💻 I.Carrara 🗄️ Libri 🗓️ 18 Gennaio 2024
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza e abulia, e parassitismo, e vigliaccheria, non e vita. Perciò odio gli indifferenti
Antonio Gramsci, figura poliedrica e profondamente impegnata, ha dedicato la sua intera esistenza alla ricerca della verità, pagando il prezzo dell’esilio e dell’arresto per le sue convinzioni. Il suo ardente credo nei valori fondamentali lo ha guidato fino alla fine dei suoi giorni. Nel 1917, quando scrisse le sue riflessioni, il mondo si trovava in un periodo tumultuoso, segnato da eventi epocali.
Il contesto storico era ricco di avvenimenti significativi: la disastrosa battaglia di Caporetto, gli scioperi scatenati dalla fame; la caduta dello zar in Russia e l’occupazione del Palazzo d’Inverno; l’ingresso degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale; la conclusione del conflitto e la dissoluzione degli imperi centrali ed infine l’ultima grande epidemia europea, l’influenza spagnola, che mietè mezzo milione di vite solo in Italia tra il 1918 e il 1919.
Gramsci, con il suo sguardo acuto, ha fissato questi avvenimenti nel tessuto della storia, riconoscendo la necessità di uno sguardo lungo per comprenderne appieno il significato. Nonostante siano trascorsi più di cent’anni, l’indifferenza che Gramsci identificava e che tanto disprezzava sembra persistere, se non addirittura crescere, nei confronti dei problemi che ancora affliggono la società odierna: la vacuità della classe politica, la distanza imperante dalla realtà politica quotidiana e la mancanza di una coscienza pubblica. La sua eredità ci invita a riflettere su questi eventi con profondità e impegno, proprio come lui fece nel suo tempo.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un tratto eroico (di valore universale) può generare non tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia raggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare
Il concetto è straordinario: la storia non è plasmata solamente dalle azioni di individui eccezionali, bensì si forma principalmente perché la massa, con il suo consenso o la sua tolleranza, permette che avvengano determinati eventi. È un’osservazione profonda che suggerisce il ruolo cruciale della volontà collettiva nella tessitura del corso storico, evidenziando come il consenso o la partecipazione della massa possano influenzare e determinare il destino di intere epoche.
Contemplo le dinamiche attuali che si delineano in Italia, dalla crisi che affligge il sistema sanitario pubblico al calo demografico e alla crisi ambientale. Queste problematiche, sebbene si manifestino in modo più evidente in questo momento, affondano le loro radici in profondità, crescendo e sviluppandosi nel terreno fertile dell’indifferenza persistente verso questioni di vitale importanza.
La tendenza odierna è di scaricare la responsabilità su “altri” anziché affrontare le sfide in prima persona. Siamo tutti protagonisti e artefici della società in cui viviamo, eppure si osserva una mancanza di impegno diretto, soprattutto nelle nuove generazioni. Il risentimento di Gramsci si esprime verso coloro che si astengono dall’azione, consegnando nelle mani di pochi le decisioni che avranno impatto su tutti.
In questo contesto, è essenziale riflettere sul modo in cui partecipiamo attivamente al miglioramento della società e sulla necessità di andare oltre il mero contributo virtuale attraverso post su social network, abbracciando un coinvolgimento effettivo e responsabile nei confronti dei problemi reali che affrontiamo.
Gramsci rivolge la sua attenzione anche sull’inadeguatezza della classe politica, una critica che suscita inevitabili riflessioni sulla contemporaneità. Egli evidenziando soprattutto la distanza abissale tra la classe politica e la gente comune. “Perché si provveda adeguatamente ai bisogni di una città, di una regione, di una nazione e necessario sentire questi bisogni”
La rappresentazione socio-politico-economica del parlamento solleva interrogativi sulla sua reale affinità con la popolazione che dovrebbe rappresentare. La disparità tra la percentuale di laureati presenti in parlamento e quella della popolazione esterna è evidente, suggerendo una potenziale disconnessione tra i legislatori e coloro che rappresentano. Mentre solo il 20% della popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni ha conseguito una laurea [2], nella XIX legislatura (in carica dal 13 ottobre 2022) la percentuale di parlamentari laureati è straordinariamente più elevata, attestandosi al 76,5% [3]. Questa discrepanza non riguarda solo il livello di istruzione, ma si estende anche alla condizione economica. La distanza tra l’indennità lorda mensile di un parlamentare della XIX legislatura, che ammonta a 10.435,00 euro [4], e la retribuzione annuale media degli italiani, che si aggira intorno ai 30.284 euro [5], evidenzia un divario significativo. Tale divario solleva interrogativi sulla capacità dei rappresentanti di comprendere appieno le sfide e i problemi affrontati dalla popolazione, considerando le diverse realtà economiche in cui si trovano. “Essi ignorano la realtà , ignorano l’Italia in quanto è costituita di uomini che vivono, lavorando, soffrendo, morendo”.
Gramsci, con straordinaria lucidità, articola parole di notevole profondità nel descrivere il capitalismo, delineando la distopia che può emergere quando il sistema è lasciato libero di prosperare. “Il capitalismo sfrutta e specula – deve speculare e sfruttare, pena la sua rovina – sempre, in tempo di guerra e in tempo di pace. Il capitalismo cerca sbocchi alle sue merci e guadagni ai suoi azionisti, come può e dove può. E la sua natura, la sua missione, il suo destino”. Queste parole di Gramsci, pronunciate all’inizio del secolo scorso, catturano l’essenza intrinseca del capitalismo, rivelando la sua tendenza innata a causare danni quando è lasciato libero di agire, poiché la sua ragione d’essere è improntata al profitto. Si apre così uno scenario in cui il capitalismo, senza opportuni freni, rischia di agire in modo dannoso, generando un arricchimento concentrato per pochi e andando contro il principio fondante del capitalismo stesso, che dovrebbe mirare a un incremento della ricchezza complessiva. Tuttavia, Gramsci non trascura la possibilità che il capitalismo possa produrre benefici se disciplinato e regolamentato. In questa prospettiva, emergono la necessità e la rilevanza di organismi di controllo robusti e ben funzionanti. Questi dovrebbero agire come freni efficaci, bloccando le derive dannose del capitalismo e permettendogli di evolversi in modo tale da migliorare la ricchezza per l’intera collettività.
Le sue parole, pronunciate oltre un secolo fa, mantengono una straordinaria risonanza nella contemporaneità, poiché ci troviamo ancora a confrontarci con gli stessi dilemmi e le stesse sfide. È un monito contro chi, sospendendo il giudizio, crede erroneamente di non prendere posizione. Le parole di Gramsci richiamano all’azione consapevole, invitando a sfidare la passività e a impegnarsi in maniera attiva per plasmare un futuro più giusto e equo.
Referenze
[1] Odio gli indifferenti, A. Gramsci
[3] https://www.camera.it/leg19/1422?idStat=10002
Antonio Gramsci (1891-1937) fu un eminente politico, filosofo, giornalista e intellettuale. Tra i pionieri nella fondazione del Partito Comunista Italiano nel 1921, ne assunse la leadership come segretario nel 1924. Nel 1926, Gramsci fu incarcerato dal regime fascista, sacrificando infine la propria vita per difendere i suoi ideali.